LA GELIDA PANCHINA DELL’ANGELO

LA GELIDA PANCHINA DELL’ANGELO

PANCHINA

Incontrai un uomo di nome Simeone, era triste e sempre con il volto spento, chissà da quanto tempo!

Ogni volta che scendevo di casa, attraversando il parco ricco di alberi spogli, vedevo su quella solita panchina, lui e il suo cane, compagno da sempre.

Intanto i giorni e le stagioni passavano in fretta e Simeone era lì!

Quasi come se fosse immobile, da ogni evento gli accadesse intorno,non esitava ad aprire il suo foglio di giornale, dove dentro ci teneva accartocciato un pezzo di pane, duro e ammuffito, a vederlo sembrava come chi in cucina preparasse la tavola per il pranzo e lo faceva con tanta grazia.

Lo sguardo di Simeone era rivolto verso il suo cane cucciolo, di nome brina alla quale gli porgeva con tanto amore una parte di quella sua scarsa pietanza, infatti quel poco che aveva doveva bastare per l’intera giornata.

Un nuovo giorno era appena sorto e si intravedeva la luce pallida, del sole d’autunno, mi avvicinai alla finestra di casa mia, e a distanza vidi un puntino nell’immenso verde, era lui!

In quel giorno freddo, quasi a dir il vero “gelido” Simeone era in cerca del suo cane, forse brina era in cerca di cibo!

Simeone si alzò lentamente dalla panchina, il motivo era perché indossava un mucchio di maglioni strappati dove si impigliavano spesso tra i rami degli alberi che ricoprivano quella vecchia panchina.

In un batter d’occhio brina saltò fuori da un cespuglio e come d’improvvisa festa, Simeone e il suo cane pieni di gioia iniziarono a danzare ascoltando la musica nel cuore, il pallido sole d’autunno tutto di un tratto, divampò rosseggiante, quasi volesse far festa insieme con loro.

Dopo un po’ io ritornai dentro, tra le mura della casa e iniziai a pensare: sono come in gabbia!

Ho tutto quello che fa comodo ad una persona, per poter sopravvivere, il calore della famiglia, dei termo, la comodità dei letti, una cucina dove cucinare, del cibo, la tivù e quanto ancora!

Tutte queste cose ad un tratto diventarono vane, in quanto i miei pensieri erano rivolti a chi giaceva in quel parco in solitudine sopra ad una panchina di legno a metà rotta.

Per Simeone Il soffitto era “il cielo”, il pavimento “ il prato”, gli alberi poteva immaginarli come “gli arredi” mentre il calore della famiglia il cane e la povertà.

La tivù poteva essere la gente!

La gente che passava senza nemmeno degnarsi di accorgersi che fosse lì, allora tutto ciò che girava intorno a Simeone , diventava un programma televisivo.

Simeone e brina per ricevere un porzione di cibo dovevano attendere la provvidenza delle persone di buon cuore le quali avevano colto nell’immagine di Simeone qualcosa di diverso dagli altri bisognosi e cioè quello di possedere una grande umanità.

“I pregiudizi ci allontanano da chiunque”! provai ad avvicinarmi alla panchina quando Simeone mi guardò con occhi incerti e scrutanti nel profondo.

Avevo con me qualcosa da mangiare e decisi di accostarmi a lui per condividere ciò che avevo acquistato in quei grandi supermercati.

Simeone non pose resistenza al mio dono così semplice “anzi alquanto modesto”! lo afferrò tenendolo nelle sue cose, nella mia mente rimasero impressi i suoi occhi, i suoi gesti e la sua compattezza a non mostrare gratitudine a quel che aveva ricevuto.

Dentro di me sapevo bene, cosa potesse significare quella sua impassibilità,

” fu la sua reazione nel vedermi accostare alle sue mani ruvide, quelle fredde e misere cose passeggere”.

Infondo lui aveva tutto!

Possedeva la libertà!

Mi resi conto che in fine era lui che mi aveva regalato qualcosa di grande, la possibilità di uscire fuori dall’abisso dell’indifferenza e dalle paure legate ai pregiudizi, “non che ora sia facile poter agire liberamente ma è nel cuore che resta il ricordo, il valore della vita, ancor più in quelli dove nulla di proprio, posseggono se non quello di essere umili servi della carità del prossimo”.

Nelle mie notti di quei giorni d’autunno, incominciai a soffrire d’insonnia, spesso sentivo dentro di me una voce che mi chiamava, giungeva ai miei sensi e implorava, vai! vai! dove andare se non qui tra le coperte calde del mio letto?

Allora capii!

Fuori era buio, freddo e pioveva, presi appena qualcosa da coprirmi, scesi giù velocemente, dirigendomi nella fitta notte in quel parco ricoperto di gelo e nebbia.

Appena mi avvicinai alla panchina, posi lo sguardo al sacco di pezza che copriva Simeone ed era intriso di acqua, mi domandai: “come potesse resistere a tale gelo”.

Quanta pioggia scendeva giù dal cielo e bagnava tutto, “ogni cosa fosse allo scoperto”!

Non mi resi conto delle mie pantofole ancora calde, ormai ripiene di terra e bagnate, a poco alla volta mi impregnai di quell’acquazzone che non smetteva di cadere giù con forza e voluminosità, in quel momento sembrava come se fossi caduto in una pozza d’acqua gigantesca!

Così si sprigionò con coraggio dalla mia voce la parola, ehi!

Ehi! Insistevo, senza un cenno di risposta.

Ehi!

Lentamente vidi aprirsi quel grande mantello di stoffa che ricopriva la panchina, ed una voce diretta mi disse:

Entra!

Cosa aspetti?

Vuoi affogare!

Senza indugiare entrai dentro l’enorme sacco e una piccola luce, illuminava l’interno ma, cosa era? “era una piccola torcia”.

vidi il volto di Simeone e il suo cane vicino ai suoi piedi.

Sotto la stoffa del sacco c’era un telone di plastica, per questo motivo l’acqua non penetrava e la panchina rimaneva asciutta ma, sempre gelida.

Per evitare che entrasse l’acqua non bisognava muoversi, fino a quando non smettesse di piovere.

Mi guardò e disse: cosa cerchi?

Non sapevo come dire, poi gli chiesi come si chiamasse e mi rispose: “mi chiamo Simeone e la mia cucciola si chiama brina”.

Simeone non chiese il mio nome, cosa che a me in quel momento non dava alcun pensiero se non altro quello di essere lì anche io.

Allora aprii il mio cuore e gli dissi: “io provengo da una splendida casa molto ricca e con tante comodità ma, ad un tratto il mio letto è diventato un luogo sofferente.

Perché!

Rispose Simeone.

Io gli dissi: non dormo più!

L’insonnia mi ha divorato nel vortice dell’irrequietezza.

Al dire il vero ho sentito una voce che gridava, dentro di me e mi invitava ad uscire fuori e dirigermi verso questo parco, mi sono girato intorno a questo buio pesto e ho iniziato a pensare: sono uscito fuori di testa!

A quest’ora e in piena notte, con un diluvio in piena, cosa faccio qui?

Poi mi sono fermato innanzi al parco e ho volto i miei occhi verso questa panchina, c’era qualcosa in me che mi spingeva ad avvicinarmi sempre di più, intanto ero inzuppato e fracido di acqua, non me ne rendevo conto, quasi insensibile da tutto ciò che mi stesse accadendo mi sono rivolto a quella forma buffa di quel grande sacco di patate che ricopriva la panchina.

Questo è tutto e nient’altro, che questo.

Simeone rispose;

Mettiti quieto e ora prova a dormire!

Non disse niente altro che queste parole e io sprofondai nel miglior dei sogni.

Rimasi sempre più stupito dell’animo buono di questa persona, senza neanche conoscermi mi accettò, dividendo quel poco di spazio che aveva come letto e come casa.

Brina abbaiò e in un balzo scattammo su con le due teste e……boom!

Le due zucche si scontrarono!

Ahi! che male!

La cucciola aveva probabilmente sentito il rumore metallico di una lattina trasportata dal vento, spaventata si accucciò, tra le mie gambe, presi la sua coda tra le mie dita e lentamente l’accarezzai così riprese a dormire.

Io e Simeone ci guardammo con la parte del cranio ancora dolente, “scoppiammo in un’immensa risata”!

Certo sono due belle teste dure esclamò Simeone!

Ed io risposi, siamo fatti della stessa pasta!

Sai! Mi disse Simeone provengo da una famiglia nobile!

Improvvisamente volle parlare di se e rimasi sorpreso, forse sarà l’effetto dell’urto forte, pensai!

Ma poi continuò!

I miei genitori appartenevano ad una famiglia di stirpe reale e di conseguenza io ho sguazzato sempre nella ricchezza e nelle tantissime comodità.

Da ragazzo frequentavo un istituto, dove le iscrizioni erano riservate solo a chi proveniva da ceti aristocratici.

Durante gli anni di studio, un giorno mi trovai da solo in biblioteca e mentre ero assorto alla lettura, mi guardai intorno, era tutto così perfetto, elegante, non c’era una sola cosa fuori posto.

Ancora risuona nelle mie orecchie, il cucù dell’orologio di quella biblioteca, comunque quel giorno ricordo bene che andai a prendere su uno dei piani alti della libreria un libro, dove avrei dovuto svolgere una delle mie ricerche per lo studio, quando ad un tratto, da lassù ne cadde uno ed era del tutto antico e chissà, forse il bibliotecario, quando dovette sistemare i libri lasciati dagli studenti sulle scrivanie della biblioteca, non fece caso a questo volume che guarda caso finì sotto ad un mobile antico.

Scesi e andai subito con tanta curiosità ad aprirlo, anche perché non aveva un titolo e una copertina, iniziava direttamente con lo scritto, per di più scritto a mano libera.

La calligrafia era stupenda, semplice ma, piena di luce, iniziai a leggere qualcosa, fino a trovarmi immerso in quei pensieri, dimenticandomi del lavoro che avrei dovuto svolgere a breve termine per la prova d’esame.

In quel libro c’era qualcosa che mi attraeva così tanto al punto che dimenticai di uscire fuori dalla biblioteca, rimasi chiuso tra le mura di quella stanza nobile, in quanto avevano già chiuso le porte e senza badare se ci fosse rimasto qualcuno dentro.

Io rimasi ad ascoltarlo attentamente tutta la notte.

Per un attimo Simeone si fermò e poi disse!

Dove ero arrivato!

Ah!

Si!

Continuai a leggere e mi soffermai su delle parole meravigliose, dove hanno cambiato nel giro di quella notte la mia esistenza.

“Io gli chiesi cosa dicessero quelle parole”! e lui mi rispose: un attimo!

Ho la lingua che mi si attacca al palato, devo bere qualcosa, così prese dalla tasca del suo pantalone a forma di paracadute una bottiglia di birra e se la scolò in un istante, non era sbronzo anzi, io ero nel pieno della stanchezza, quasi deliravo dal sonno ma, lui era più lucido che mai!

Simeone proseguì il racconto e mi disse!

Quelle parole, hanno un linguaggio nuovo, capisci!

Un uomo chiamato Gesù parla di un Padre, un Padre unico per tutti, ti rendi conto!

Gli risposi no! non ho mai provato a leggere qualcosa di lui.

Poi Simeone mi disse: ascolta: “chi vuole venire indietro a me rinneghi se stesso e porti la sua croce”.

“Và e dai tutto ciò che possiedi e poi segui me”.

“Amate i vostri nemici e pregate per chi vi perseguita”.

“Siate misericordiosi come il Padre è misericordioso con voi e fa sorgere il sole sui giusti e i malvagi”.

“Chi non Ama il fratello che vede come può Amare Dio che non vede”?

Io rimasi senza parole ebbi il coraggio di chiedergli: scusa se ti interrompo per un attimo, prima che continui, volevo dirti qualcosa di me a riguardo.

I miei genitori, erano lontani da questa realtà ed io sono cresciuto senza educazione religiosa e per di più mio padre era completamente ateo.

Mia madre è stata sempre credente e cristiana ma, per amor della pace in famiglia, non ne parlava mai.

Avvolte mio padre mi parlava dei tanti errori, commessi nel passato dalla chiesa, senza accorgersi che anche lui in quel momento commetteva uno dei più grandi errori e cioè di farmi crescere nell’assoluta incertezza del nulla e dell’ateismo.

Lui diceva, che bisognava credere solo in noi stessi!

Un giorno vidi il volto di mia madre triste, aveva avuto una discussione forte con mio padre, non voleva rievocare il giorno del mio battesimo e ora non accettava l’idea che si stesse avvicinando il giorno della mia prima comunione.

Tra una cosa e l’altra in casa divampò la bufera!

Arrivò il giorno della domanda.

Seduti a tavola mia madre e mio padre mi chiesero:

Noi vogliamo che decida tu, se accettare o no di frequentare il catechismo, per la preparazione alla prima comunione!

Tu sei d’accordo di voler fare la prima comunione?

Tutto diventò così cupo e non sapevo cosa rispondere, in quanto mi addossarono tutta in una volta, e senza un’educazione cristiana la grande responsabilità di decidere, avendo unicamente l’esempio del vuoto di mio padre, dove poneva al primo posto come principio di vita il sapere e la ragione, escludendo completamente, un senso futuro, oltre alla nostra esistenza terrena.

Così fu che non ne volli sapere più nulla e andai avanti per la mia strada, seguendo il nulla.

Ora mi trovo qui su questa panchina, dove non avrei mai immaginato di poter parlare di me a qualcuno e guarda caso la voce che ho ascoltato dentro, mi ha portato nella miseria tra gli ultimi degli ultimi.

Simeone!

Sai come vi chiamiamo noi? “barboni”!

Simeone mi rispose: vuoi che non lo sappia?

E’ per questo che posseggo una folta barba!

Sapevo bene che non era per quello, non aveva una lametta per potersi radere ma, anche se l’avesse avuta non se la sarebbe tagliata.

Simeone proseguì e mi disse: tutto ciò che ci capita non è mai per caso, c’è chi sostiene che la stessa vita è casualità, come vedi non è così.

Ti saresti mai aspettato che avresti avuto il coraggio di abbassarti fino al tal punto di dormire con uno straccione e la sua cagnetta?

Io gli risposi: e certo che mai!

Poi Simeone mi disse: ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio, perché in lui e per mezzo di lui tutto è dato possibile.

In un momento io mi chiesi: era lui che mi stava raccontando il suo vissuto e poi ad un tratto sono subentrato io, infine dandomi anche delle risposte profonde che non mi sarei mai aspettato di ricevere da un barbone.

Allora gli chiesi di continuare se avesse ancora piacere e proseguire la sua storia.

Così Simeone proseguì.

Uscii fuori da quella biblioteca la mattina del giorno dopo.

In casa non era più come prima, ero diventato un uccello in gabbia e decisi di farmi frate.

La mia nobile famiglia mi sconobbe per quella mia scelta ma, io prosegui il cammino verso quello che pensavo fosse giusto per me.

Dopo anni mi trovai in un convento e mi resi conto che ancora non bastava a soddisfare il richiamo che udivo dentro di me e mi sussurrava: “ la tua vita è fuori, all’aperto, nell’abbandono da tutte le cose che ti legano, in mezzo ai reietti, i dimenticati”.

Mi chiesi perché, perché questo?

Ora comprendo, ed è quello di parlare con te e con chi altro avrà il coraggio di avvicinarsi a me per potergli dire: “Dio ti Ama infinitamente”.

Poi Simeone continuò e mi disse: non a caso devi sapere che il Signore disse:

“ti benedico Padre, Signore del cielo e della terra perché hai rivelato i segreti del regno dei cieli ai poveri si Padre perché così è piaciuto a te”.

Appena ascoltai quelle parole da me sconosciute mi si paralizzarono le labbra e l’emozione pervase la mia anima.

Avevo le dita dei piedi gelide ma, il cuore caldo dagli insegnamenti di quest’uomo.

Simeone continuò e mi disse: prima che diventassi, come voi dite, barbone, feci delle conoscenze, tra cui tre vecchietti davvero malandati, ormai erano anni che vivevano per strada, io non sapevo che in quel medesimo istante mi trovavo al capolinea, dove avrei lasciato il convento per sempre vagando per le strade del mondo.

I loro nomi erano Matilde, Stefano e Mariano, fu un giorno dedicato unicamente a loro, mi raccontarono la loro esperienza di vita e i loro vissuti.

La mia identità si conformava sempre di più alla loro, nella convinzione che anche io appartenessi al medesimo destino.

Dopo circa qualche mese, così fu.

Ora come puoi vedere ho con me niente, se non altro che la mia brina e le parole sante di Cristo che sono tutto.

Dopo delle settimane venni a sapere che Matilde, era morta assiderata, quella notte non si svegliò e la trovarono in un angolo, rannicchiata vicino ad una cabina telefonica, lei era coperta con dei cartoni, li usava come se fossero delle coperte di pura lana e in quella sua immaginazione pian, piano si spense.

In quel momento io non sapevo se dire qualcosa o no e non esitai a dirgli:

una tristezza, schiava delle ingiustizie, di questo mondo!

Simeone mi rispose: proprio così!

Giacche fuori aveva smesso di piovere gli chiesi:

Siamo giunti all’alba e sai che ti dico?

Venite a fare colazione da me?

Brina abbaiò, Simeone la guardò e come se si fossero detti qualcosa si catapultarono fuori e insieme con loro anche io.

Andiamo! Urlai a squarcia gola.

Forza!

Una grande colazione e poi via!

Con la pancia piena, la mattina diventa serena!

Simeone mi disse, questi sono i ragionamenti di chi ha la possibilità di mangiare in qualsiasi momento della giornata ma non per noi e siccome oggi è festa faremo uno strappo alla regola e verremo con te in casa tua.

Tutti e tre, fracidi e gelidi salimmo in casa e apriti cielo!

Nell’aprire la porta di casa, vidi il volto impallidito di mio fratello e mi disse:

Che fine hai fatto è tutta la notte che ti cercavamo, sei sparito nel nulla, poi mio fratello rivolse leggermente lo sguardo dietro di me, c’era lui, Simeone, mentre brina, senza complimenti si intrufolò subito in casa, scodinzolando intorno ai piedi.

Mio fratello Giorgio, al vedere i due ospiti rimase impietrito e quasi poco ci mancava, che avrebbe chiamato la neuropsichiatria.

Ma sei pazzo!

Mi mormorò sotto voce all’orecchio.

Mancava poco che avremmo chiamato la questura e tu ora ci porti in casa un barbone e un cane?

Al dire il vero loro sono invitati a stare con noi per tutto il giorno.

Cosa?

Tremante Simeone entrò e si diresse non verso la cucina o il frigo ma, posò la sua attenzione ad un quadro antico, ci fu regalato da un parente lontano, molto ricco.

Non smetteva di stare lì a fissarlo, allora, mio fratello, veterano e appassionato della pittura, dimenticò il barbone e gli chiese cosa trovasse di così interessante in quel dipinto.

Passarono delle ore a discutere dell’arte e dei nomi di fama mondiale della pittura.

Io non credevo a quello che stava accadendo, poco tempo prima, mio fratello era sconvolto al vedere quell’uomo entrare in casa nostra, mentre, ad un tratto i suoi pregiudizi svanirono in un niente, il senso dell’umanità di quel barbone prese il sopravvento anche su di lui.

Quando arrivò il momento del pranzo, a tavola cera di tutto, brina, già aveva avuto la sua razione, una bella bistecca!

A guardarla, mentre divorava il suo pasto era uno spettacolo, poi iniziò anche Simeone ma, fu completamente diverso, il suo volto non si scompose, mangiava con tanto gusto, però non mostrava affatto quella foga, dovuta da coloro che da tempo non mangiassero tanto ben di Dio.

Anzi alcuni alimenti li introduceva nelle tasche del suo pantalone a forma di paracadute dove centrava di tutto e di più.

Giorgio gli disse:

Da quanto tempo fosse che non entrava in una casa, lui gli rispose che erano molti anni e aveva già la nausea del chiuso, ormai era abituato a stare per strada o nei parchi, all’aperto.

Arrivammo a tarda serata e dopo aver cenato ci chiese se volevamo uscire fuori e accompagnarlo sulle strade della città.

Scendemmo giù, lui ci portò verso il centro del paese senza dire una sola parola, poi ci indicò i vicoli illuminati dove, si mettevano seduti in terra i barboni, a metà vicolo percorso trovavi uno di loro.

Erano tanti quelli che avevano scelto questa vita e non c’erano risposte al perché, se non nel conoscere personalmente uno di loro e chiederlo, proprio come stava accadendo a noi.

Mentre percorrevamo questi vicoli, vedemmo Simeone che tirò dalle tasche, parte del cibo del pranzo e della cena che aveva ben conservato, noi lì per lì pensammo che volesse farsi una scorta per i giorni seguenti ma, non fu così.

Si avvicinò ai suoi compagni di strada e a uno alla volta gli dava qualcosa da mangiare, noi restammo sempre più stupiti, incominciammo a pensare che forse Simeone era del tutto diverso dagli altri, anche perché probabilmente non tutti i barboni molto affamati, si sarebbero fatti scrupoli se avessero avuto, anche loro l’opportunità di aver trascorso una giornata al caldo di una casa e con la possibilità di consumare sia la colazione che il pranzo e la cena, a tenersi qualcosa da parte per gli altri poveracci.

In quell’istante ci sentimmo delle persone così povere ma, dentro.

Sì! perché lui dava del suo indispensabile che possedeva, mentre noi eravamo incapaci di dare anche del nostro superfluo.

Si fece tardi e tornammo verso casa, Simeone e brina si avviarono verso quel parco, mio fratello prima di salutarlo gli disse:

Aspetta!

Volevo chiederti ancora una cosa!

Perché!

Perché! Hai scelto questo modo di vivere?

Simeone ispose: tuo fratello in parte lo sa, tu devi sapere che se non avessi scelto questa via, voi non avreste saputo il motivo per il quale mi trovo qui.

Il motivo?

Si!

Il motivo!

Rispose Simeone.

Raramente, si fermano le persone a parlare con i barboni ma, quelle rare volte che accade è voluto dal buon Dio, perché ciò che non vedono, non sentono o non conoscono gli sia concesso anche a loro di scoprirlo.

La dimensione, di coloro che appartengono al dominio delle cose materiali è lontana da quella in cui ci troviamo noi, dista anni luce e avvolte se si ha il dono di poterci entrare è per poter conoscere la verità.

Furono le ultime parole e poi Simeone se ne andò via, tra la nebbia, come in un sogno, lentamente, svaniva la sua sagoma nell’immensa oscurità della notte.

Quando io e mio fratello ritornammo a casa, prima di metterci a letto, sentimmo un vuoto orrendo, come, se ad un tratto, si spense il desiderio di sentirsi vivi.

Quell’uomo aveva portato una luce nei nostri cuori ed era quella dell’umiltà, della semplicità e dell’Amore per tutte le creature.

Ancora ci risuonavano quei suoi racconti, man mano nascevano tante domande e la voglia di cercare al di là dell’ateismo, che ci aveva inculcato come esempio, nostro padre, il senso della nostra esistenza.

Il giorno dopo ci dirigemmo entrambi in una libreria e senza indugiare acquistammo, un libro dal titolo, il nuovo testamento.

Assorto nella lettura mi ricordai le parole di Simeone, dentro di me stava nascendo qualcosa di nuovo, vedevo orizzonti infiniti mentre, prima era il nulla del nulla.

Trascorsero dei mesi, quando mi trovai a dirigere un gruppo di ragazzi della parrocchia, tutto ebbe inizio, nel momento in cui, uno di quei giorni, provai ad entrare in quella chiesetta, ormai era dal mio battesimo, che non misi più piede in una chiesa.

Feci amicizia con il parroco, un tipo molto giovane e appena mi vide, ebbe la capacità di guardare dentro di me, capì subito, che avrebbe tirato fuori il meglio da chi proveniva da un’esperienza artificiale quale l’ateismo.

Gli raccontai l’interesse che avevo iniziato a provare per la lettura del vangelo e chi fu l’artefice di questo grande miracolo.

Entrai a far parte anche del gruppo dei catechisti e lì conobbi un’altra persona che mi aiutò nel mio cammino di fede.

Era una ragazza di 23 anni e si chiamava Libera, i suoi genitori non li aveva mai conosciuti, la madre era morta quando nacque mentre, del padre non si conosceva l’entità.

Libera mi fece sentire, subito, come in una grande famiglia, venni accolto dal gruppo in modo così naturale, quasi ci conoscessimo già da tempo.

Poi un giorno, mi raccontò il perché gli era stato dato quel nome e come accadde, la madre nel momento della nascita, ebbe la forza di pronunciare le sue ultime parole, che furono, la mia bimba chiamatela Libera! Dopo un po’ abbandonò questa vita per entrarvi nell’altra.

L’uomo che conviveva con la madre non sapeva nulla della sua gravidanza in quanto poco prima andò via da quella città, parlò con lei e gli disse che non era possibile stare insieme, non l’amava più ma, questo era falso, lo diceva solo, per evitare la grande delusione che le avrebbe arrecato, sentendosi dire, da lui, che la sua famiglia, non accettava quell’unione.

La loro vita si divise e ognuno prese la sua strada, senza, mai più rivedersi.

Una storia molto triste, quella di Libera ma, intanto in me, stava nascendo qualcosa di più, rispetto ad un rapporto di amicizia, così io e Libera iniziammo a frequentarci.

Condividevamo tutto, una sera, la portai a casa, c’era mio fratello e subito entrarono in sintonia, cenammo,e tra una parola e l’altra il tempo scorreva volentieri, stavamo proprio bene insieme, poi Libera si diresse verso uno dei tanti quadri della sala.

Gli chiesi!

Vedo che sei molto interessata all’arte?

Mi rispose!

Veramente è qualcosa che nasce di dentro e non so spiegarmi il perché ma, quando vedo un dipinto, subito sono attratta, ad avvicinarmi, poi resto incantata dalla loro bellezza.

Li conosci o ti piacciono e basta?

Si! Mi rispose Libera.

Li conosco ed è da un po’ di tempo che ho iniziato a studiare la storia dell’arte, solo per passione.

Li, per lì, intervenne mio fratello e subito, raccontò l’episodio, di quel giorno, unico e indimenticabile, di quando conobbe Simeone.

Mio fratello gli disse: Sai! Simeone era un grande conoscitore dell’arte antica e moderna e in particolar modo sapeva riconoscere i grandi autori della pittura.

Allora, io incominciai a raccontargli di quando lo conobbi e come avvenne, il motivo per il quale iniziai a percorrere la strada della fede.

Se non avessi conosciuto Simeone il barbone ora non starei con te, anche perché non sarei mai entrato in quella chiesa e quindi non avrei, avuto la possibilità di conoscerti.

Così fu, che io e Libera iniziammo a stare insieme, si aprì un rapporto d’amore e dopo due anni ci sposammo.

Un giorno decisi di potarla a visitare, il parco, dove giaceva la panchina di Simeone e brina e chissà, forse li avremmo ritrovati lì, al solito posto.

Il mio cuore batteva forte dall’emozione, anche perché, la mia vita ebbe inizio, proprio da quel umile giaciglio, dalle semplici parole di un barbone ma, profonde e traboccanti di verità, purtroppo non li trovammo.

Le uniche cose che rimasero, in terra, vicino la panchina, degli stracci e niente altro.

Trascorsero degli anni e avemmo una bambina di nome Margherita, era solito che quando, le giornate lo permettevano, la portavamo al parco, un giorno inaspettatamente, accadde l’impossibile……

Mentre passeggiavamo, io, mia moglie e la bimba, vedemmo dirigersi verso di noi un vecchietto, si fermò, sembrava quasi, come se ci volesse chiedere qualcosa.

Subito si diresse verso di me e mi disse, sei l’amico di Simeone?

Mi chiesi, come faceva a conoscerlo, poi gli risposi immediatamente.

Si!

Certo che lo conosco!

Erano anni che, di Simeone, non si sapeva più nulla ma, non esitai a domandargli dove fosse.

Quel vecchietto mi lasciò una lettera e ci salutò!

Trepidante rivolsi lo sguardo a Libera.

Cosa aspetti!

Aprila!

Mi disse Libera!

Non avrai timore di aprire una lettera?

Lei sapeva bene che per me si trattava di una forte emozione.

Finalmente, decisi d aprire quella lettera, erano le parole di Simeone!

Era quasi come se lui sapesse, che quell’istante era il momento propizio, per inviare, le notizie di una persona cara, non parlava affatto di lui, c’era il nome di un uomo che aveva conosciuto tempi indietro, sotto i ponti della città.

Il suo nome era Stefano, aveva lasciato una famiglia benestante e dopo la laurea, decise improvvisamente di vagare le strade, diventando anche lui un barbone.

Non capivo il perché mi parlasse di quel uomo!

Ad un tratto Libera, nella lettera di Simeone lesse un dettaglio, particolare, , diceva che quel uomo chiamato Stefano, spesso ripeteva, sono nato libero, se avessi una figlia la chiamerei Libera!

In quel istante Libera aveva le mani che gli tremavano gli cadde il foglio in terra e subito gli chiesi cosa stesse accadendo, lei mi rispose: ho avuto la sensazione di sentire le stesse parole che mia madre pronunciò, prima che io nascessi.

Le pronunciò al parroco, dove, poi sono stata presa in adozione, presso l’istituto delle suore.

Quando crebbi, il parroco di nome Don Serafino, con molta grazia, mi raccontò tutto e tra le tante parole, mi riferì proprio quelle parole, dette da mia madre, prima che morisse, sono le stesse ed identiche, scritte in questa lettera!

Capisci?

Stefano, conosceva bene il parroco, spesso andava a mangiare alla mensa fraterna, dei poveri, vicino al convento.

Don Serafino non sapeva, che fosse il padre di Libera, perché Stefano gli disse che era il fratello.

Quando poi, Stefano venne a sapere che il parroco fu vicino alla mamma di Libera , fino all’ultimo istante di vita, subito, volle sapere, ogni minimo dettaglio.

Stefano non aveva mai smesso di amarla, fece di tutto per avvicinarsi a Don Serafino, voleva sapere, se mai, gli avesse pronunciato, qualcosa di quell’uomo che in passato, aveva amato tanto.

Allora io chiesi a Libera: tu vorresti dire che quell’uomo potrebbe essere tuo padre?

Libera rispose: Tutto è possibile e poi leggendo quella frase, ho sentito in me un richiamo.

Andiamo immediatamente dal parroco e così ci dirigemmo in parrocchia, era già l’ora, dell’apertura della mensa fraterna dei poveri e anche questo fu un segno evidente della provvidenza.

Scendemmo giù, al piano di sotto, dove era solito, attendere, che aprissero le porte della mensa, entrammo e vedemmo infondo alla sala, Don Serafino che distribuiva da mangiare.

Libera non esitò e si diresse direttamente dal parroco, gli mostrò la lettera e anche lui rimase agghiacciato, subito voltò lo sguardo verso quel barbone, come sempre, era seduto al solito posto e quando capì di essere osservato, si alzò e senza indugiare, come se avesse già capito tutto quello che stava accadendo, si avvicinò a Libera e la strinse fortemente.

Libera si lasciò andare in quell’abbraccio amorevole di un padre, che non aveva mai conosciuto ma, per un attimo, indietreggiò e rivolse i suoi occhi in quelli del padre, in un istante i dubbi si dissolsero in un niente.

L’abbraccio, ora fu ancora più forte, ed era proprio la figlia a riabbracciarlo, con il desiderio che non terminasse più, quel momento, mai pensato o sperato, che si potesse avverare.

Nella mensa il rumore delle posate, delle chiacchiere, come d’improvviso si annientarono, tutto si fermò e gli sguardi erano rivolti, verso quell’infinito, gesto d’Amore, una ragazza vestita perbene che teneva stretto a se un barbone!

L’Amore di una figlia, nei confronti di un padre, annientava ogni sorta di pregiudizi o d’indifferenza nei confronti di chi, fosse così, povero e straccione.

Appena tutto, ritornò come prima, dalla mensa, si innalzò un potente battito di mani, erano i poveri e i volontari e in quel umile luogo di carità, grondavano lacrime di felicità.

I giorni seguenti Libera e il padre restarono, insieme, a parlare per tutto il tempo e sembrava, che le ore non bastassero mai.

Quando vidi che lei tornò a casa, da sola, capii che il suo volto era diviso in due, tra la tristezza e la felicità, pensava che il padre, avrebbe lasciato, per sempre, il vivere in strada ma, non fu così, Stefano gli disse, che ormai la sua vita era quella e la certezza di aver, almeno conosciuto sua figlia, diventò, la sua vera gioia, il suo cuore ringiovanì e in qualunque posto si sarebbe trovato, quel sentimento, sarebbe stata la sua vera dimora.

Di tanto in tanto Io e Libera andavamo a trovarlo, nelle diverse stradine della città, lui, contentissimo, accettava ogni sorta di cose, che gli portavamo, poi ci parlò di Simeone, lo aveva conosciuto bene e non solo lui.

Tutti lo conoscevano ma, in nessun luogo, lo si riusciva a trovare.

Quell’uomo era diventato un mistero, come un angelo, si faceva silenziosamente conoscere, seminava, opere di conversione e di carità verso chiunque.

Così la panchina di quel parco, la denominammo:

La panchina dell’angelo.

Ormai si diffuse la storia, misteriosa, del cane e il suo padrone, e ogni mattina, nel parco, c’era la fila, per poter almeno, per un attimo, sedersi, su quella panchina, dell’angelo.

Prima di allora mai nessuno, pensava, di dirigersi in quel posto, perché era considerato abietto, in quanto, vi giaceva un umile barbone.

Ora quell’umile panchina è diventata la speranza di chi crede, realmente, nei prodigiosi interventi degli Angeli.

Costruimmo una targa, dove fu posta al fianco di quella panchina, su di essa scrivemmo queste parole:

Quando ti trovi, davanti, ad un vero barbone, non tirarti indietro e apri il tuo cuore.

Un giorno potrai scoprire, dietro, quei poveri stracci, una preziosa presenza, quella di un Angelo, capace, di farti comprendere il vero senso della tua esistenza, di farti cambiare, ed amare, il buon Dio, unico, Padre, uguale per tutti.

Cascino Antonio

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